EU Green Deal, Tassonomia, SFDR, CSRD, ESRS… tutti elementi fondamentali nella trasformazione dell’economia e della società nelle loro versioni migliori, sostenibili. Il settore ESG sta crescendo, maturando e sta distillando conoscenza, esperienza e performance. Le linee guida di sviluppo dei modelli di business sostenibili sono costantemente riviste, in virtù dei cambiamenti nel pensiero strategico sulla sostenibilità, sia dei regolatori che degli investitori. Proviamo a rivederne qualcuno.
Greenwashing – dopo una prima fase di occhi grandi quando uno diceva che ha un prodotto sostenibile, il mercato – compatibilmente con la penetrazione dei concetti e la loro diffusione capillare anche fra chi non è “addetto ai lavori” – vuol vedere cosa c’è davvero dietro queste affermazioni. Complici varie campagne di indagini e i conseguenti scandali, anche internazionali, l’aumento della disponibilità di strumenti e prodotti finanziari con l’etichetta ESG (troppo sostenuto perché sia integralmente veritiero), la stretta regolamentare sugli ECO label e la transizione verde, gli investitori chiedono informazioni specifiche, risultati concreti su KPI chiari e si aspettano che le aziende abbiano un disegno complessivo di integrazione della sostenibilità nei loro modelli di business.
L’indirizzo e le linee guida di ESMA, più volte iterate, che mira ad arrivare all’integrazione delle informazioni ESG e degli assessment di sostenibilità nelle analisi finanziarie, una integrazione fatta di concetti limpidi e regole d’ingaggio che da una parte riconducano gli aspetti ESG, anche quelli puramente qualitativi, ad un ambito quantitativo in chiave rischio-opportunità e dall’altra supportino gli investitori fornendo loro la base di comparabilità caratteristica delle analisi finanziarie.
L’aspetto formativo di cui si deve far carico la finanza sostenibile nei confronti delle aziende, in base all’incontestabile consenso sulla rilevanza delle questioni ESG per la resilienza e la competitività delle aziende. Al di là della necessità di un esame più accurato delle informazioni ESG che vengono rapportate e comunicate dalle aziende, chi si concentra solo sulla rendicontazione sta perdendo di vista l’essenziale. È necessario un lavoro educativo e formativo per mostrare e dimostrare come l’integrazione della sostenibilità nella strategia aziendale può creare un vantaggio competitivo, guidando l’efficienza operativa, l’innovazione, il coinvolgimento dei dipendenti, la resilienza della catena di approvvigionamento, migliori capacità di mitigazione dei rischi e altri vantaggi aziendali strategici.
Il vantaggio competitivo dato dalla sostenibilità deriva da una buona strategia, cultura, KPI ed esecuzione. Le metriche di reporting sono l’ultimo passaggio, non il primo.
È già qualche tempo che raccontiamo alle aziende che la sostenibilità costa, ma che non è un costo. Diciamo loro che è un investimento. Pertanto, come in qualsiasi investimento (e questo l’azienda lo sa!) va tracciato il return on investment. Quale miglior incentivo perché l’organo di governo dell’azienda inizi seriamente a pensare in maniera integrata e strategica ad approcciare le questioni ESG rilevanti per il proprio business?
Non si butta via nulla: si parte sempre dal coinvolgimento degli stakeholders e dall’analisi di (doppia) materialità: finanziaria e di impatto.
Con la matrice di materialità in mano, le successive analisi – PESTLE (Politica, Economica, Sociale, Tecnologica, Legale e Ambientale) orientata alla sostenibilità e quindi SWOT (Forze, Debolezze, Opportunità, Minacce) indirizzeranno l’azienda alla comprensione del proprio posizionamento per la gestione / mitigazione dei rischi e per meglio sfruttare le potenziali opportunità.
Ragionando, aggregando, distillando, prende forma una coerente strategia e pianificazione aziendale con conseguente definizione degli obiettivi e gli indicatori chiave (KPI).
La sostenibilità è trasformazionale. Pertanto, per coerenza gestionale, la cultura, la governance e gli incentivi devono essere allineati. Ergo i KPI ESG a livello di organizzazione saranno approvati dall’organo di governo, adottati e supportati dalla leadership esecutiva e integrati nella programmazione operativa e nella struttura delle retribuzioni. Ad oggi, le metriche ESG utilizzate nel processo decisionale misurano principalmente input e attività (ovvero politiche, sistemi di gestione, informativa, investimenti) piuttosto che output e impatti sugli economics e sugli stakeholders.
E qui arriva il bello: le aziende devono poter tracciare i ritorni finanziari, intangibili (ad es. mitigazione del rischio, coinvolgimento dei dipendenti) e tangibili (ad es. efficienza operativa, vendite) associati alla loro strategia di sostenibilità integrata. Come? Facendo parlare i temi, i sottotemi, gli indicatori, le metriche e gli obiettivi di sostenibilità con il cash flow e la situazione patrimoniale.
Salutiamo con soddisfazione le iniziative di creazione di simili piattaforme e framework, come l’Impact-Weighted Accounts Project oppure il Return on Sustainability Investment Framework, che hanno come obiettivo proprio la creazione di una illuminante chiave di lettura delle informazioni ESG utili sia per le aziende che per gli investitori / asset managers e le aziende di rating.
2 agosto 2022
Fonti: hbs.edu; stern.nyu.edu