“Da quando sarà obbligatorio anche per noi”? Questa è la domanda ricorrente da parte delle PMI a seguito del dilagare dei termini legati alla sostenibilità, ai rischi ambientali, all’attenzione sulla parità di genere e a tutto quello che viene fatto ricadere nelle tematiche ESG.
La questione è spesso vissuta, erroneamente, come un ulteriore obbligo burocratico di compilazione di un prospetto dedicato al consumo di acqua, produzione di CO2 o rispetto delle quote rosa.
In realtà, è semplicemente aumentata la diffusione dei termini ed il volume delle discussioni sul tema. E a livello europeo sono stati programmati degli obblighi di informazione strutturata per le aziende di maggiori dimensioni.
La normativa societaria italiana (e principalmente il Codice Civile) ha previsto da tempo un espresso obbligo di legge in merito alla comunicazione delle informazioni rilevanti “di tipo ESG” nel bilancio di esercizio.
L’obbligo in questione è il comma 2 dell’art. 2428 C.C. e riguarda la generalità delle società di capitali italiane, con esclusione solamente delle società di minori dimensioni che redigono il bilancio in forma abbreviata e delle microimprese. Si richiede che gli amministratori riportino “una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta” nonché, “nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell’andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del caso, quelli non finanziari pertinenti all’attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all’ambiente e al personale”.
Ma quante delle nostre imprese hanno ritenuto che gli indicatori non finanziari fossero realmente necessari per comprendere la situazione della società e “l’andamento del risultato della gestione, ovvero se in assenza di tali indicatori non finanziari il bilancio risultasse non trasparente e/o veritiero e, quindi, fuorviante per i suoi utilizzatori”? In realtà ben poche.
È soprattutto in quest’ottica che si dovranno concentrare gli sforzi dei professionisti di diffondere il verbo della sostenibilità: presto tutte le principali società saranno tenute a esporre informazioni comparabili in merito alle questioni di sostenibilità e all’incidenza di queste sul proprio modello di business, con tutto quello che ne discende in termini di appetibilità e competitività.
Al fine di evitare di trovarsi impreparata rispetto alle sollecitazioni del mondo finanziario o nell’ambito delle catene di valore di appartenenza, con il prezioso supporto dei professionisti, è necessario che l’azienda proceda al più presto alla mappatura della situazione di fatto dei profili di sostenibilità con riguardo ai fattori ambientali (politica energetica, consumi e tipologia risorse naturali, entità emissioni e rifiuti, impatto dei rischi ambientali sulla situazione economica e finanziaria) e sociali (sicurezza e salute sul luogo di lavoro, politiche remunerative, formazione, politiche di genere e pari opportunità).
Le nostre aziende sono in gran parte più sostenibili di quello che sanno di essere ma sarà l’integrazione strategica e dinamica degli elementi di sostenibilità ambientale e sociale nei piani di sviluppo aziendale a guidare, monitorare, sviluppare e dimostrare la capacità stessa dell’azienda di essere in grado di crescere in un contesto economico, sociale e geo politico complesso come quello di oggi. E di domani.
Fulvio Degrassi