È appena calato il sipario sulla Conferenza di Bonn sui cambiamenti climatici, importante tappa prima della COP28 in programma per fine novembre. Nella conferenza stampa di giovedì scorso, il Segretario Generale ONU definisce “pietosa” la risposta del mondo di fronte al riscaldamento globale ed esorta i governi nazionali ad accelerare l’azione per il clima per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
L’affidamento su soluzioni rapide, basso impegno e poca chiarezza, porteranno alla fine del secolo alla situazione in cui il globo terrestre avrà accumulato 2,8°C in più rispetto alle temperature pre-industrializzazione: una catastrofe annunciata! Oggi emettiamo a livello mondiale circa 50 miliardi di tonnellate di CO2eq ogni anno; oltre il 40% rispetto al 1990, che contava circa 35 miliardi di tonnellate (Dato 2021, Our World in Data, CO2 and Greenhouse Gas Emissions database).
Tutti noi possiamo fare la differenza. In particolar modo le imprese, alle quali viene richiesto di muoversi sui due principali fronti attorno ai quali le politiche internazionali sul cambiamento climatico si stanno orientando, adottando un approccio olistico che consideri l’intera value chain: la contabilizzazione delle emissioni e la pianificazione di azioni consapevoli volte alla loro riduzione.
Una corretta e completa misurazione delle emissioni da parte delle organizzazioni dovrebbe considerare:
- Scope 1: emissioni che provengono dagli asset aziendali (strutture, veicoli); sotto il diretto controllo dell’azienda.
- Scope 2: emissioni indirette legate all’energia consumata nell’ambito delle attività aziendali (elettricità per riscaldamento, raffreddamento); influenzate dalle decisioni d’acquisto di energia.
- Scope 3: emissioni che derivano dalla catena del valore sia a monte (catena di approvvigionamento) che a valle (distribuzione, gestione dei rifiuti, utilizzo prodotto venduto) e dagli investimenti aziendali; al di fuori dei confini dell’organizzazione.
Allo stato attuale risulta che, contrariamente a quanto accade nell’elaborazione dello statement finanziario, le organizzazioni non sono rigorose nella misurazione e comunicazione delle proprie emissioni di gas serra. Il monitoraggio e la rendicontazione si focalizzano quasi esclusivamente sulle emissioni Scope 1 e 2, tralasciando quelle Scope 3 poiché non sotto il loro diretto controllo e in ogni caso difficili da identificare e quantificare. Ma sono proprio le emissioni Scope 3 che incidono maggiormente in termini di impatti generati; oltre il 70% dell’impronta carbonica di un’azienda secondo quanto dichiarato dall’UN Global Compact.
Diventa perciò necessario che le imprese, nonostante le lacune ancora presenti a livello normativo in termini di armonizzazione delle metodologie di calcolo delle emissioni e di non obbligatorietà di inventario e divulgazione, si attivino al più presto per includere nel perimetro di analisi e monitoraggio le emissioni di gas serra provenienti da categorie significative dello Scope 3 come ad esempio: acquisti a monte, prodotti venduti a valle e loro utilizzo fino allo smaltimento, trasporti, viaggi e investimenti finanziari.
Ma la strada non è priva di ostacoli: se con Scope 1 e 2 si riescono a catturare dati sufficientemente realistici e significativi, la mancanza di dati lungo le catene di fornitura genera non poche difficoltà e responsabilità nelle misurazioni e nei reporting.
Il monitoraggio e la corretta divulgazione delle emissione Scope 3, insieme a quelle Scope 1 e Scope 2, fondamentali per scongiurare i rischi di greenwashing, rappresentano una necessità attuale per:
- i partecipanti ai mercati finanziari al fine di allocare correttamente il capitale;
- i regolatori e la comunità scientifica nella progettazione di politiche efficaci;
- le imprese per poter comprendere il loro impatto effettivo sul cambiamento climatico e prendere le corrette decisioni di investimento; il tutto in ottica di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Ciò implica per le organizzazioni un’attenta individuazione delle realtà che compongono la catena del valore, un’accurata attività di sensibilizzazione sull’importanza del monitoraggio delle emissioni e di scambio di informazioni con le medesime e lo sforzo di intraprendere azioni condivise e mirate al fine di ridurre l’impatto della propria attività sul riscaldamento globale.
Sebbene i recenti sviluppi a livello europeo che ampliano la platea di soggetti obbligati alla rendicontazione di sostenibilità (CSRD e standard di rendicontazione ESRS) potrebbero portare a miglioramenti nella qualità e nei contenuti della divulgazione delle emissioni, è fondamentale che anche le PMI riconoscano sin da subito l’importanza di affrontare le emissioni Scope 3, orientando le proprie risorse al monitoraggio delle stesse lungo l’intera catena del valore per prendere decisioni consapevoli in ottica di una loro riduzione. È necessario correggere la rotta per avvicinarsi alla prospettiva di raggiungimento dell’obiettivo europeo Net Zero entro il 2050 e allontanarsi sempre di più dallo scenario catastrofico di fine secolo evocato di recente da Antonio Guterres.
Di Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor.