Il mondo ha bisogno di ridurre le emissioni ora, molto prima del 2050, per evitare di superare 1,5 gradi di riscaldamento globale. E poiché alcune industrie possono muoversi più velocemente di altre, sono necessari obiettivi più aggressivi da parte di chi può, per garantire che la società nel suo insieme possa raggiungere il target. Molte aziende hanno già mancato i principali obiettivi ambientali prefissati per il 2020 e la reazione del pubblico, della società, degli investitori è stata tutto sommata modesta.
Il numero delle aziende che hanno fissato obiettivi climatici net-zero (il che significa che ridurranno le loro emissioni di CO2 il più possibile, e quelle che ancora emetteranno saranno compensate da progetti che catturano il carbonio), è più che triplicato nell’ultimo anno. Nestlé, la più grande azienda alimentare del mondo, prevede di raggiungere il c.d net-zero entro il 2050. Unilever, un altro gigante dei prodotti di consumo con centinaia di marchi, prevede di arrivarci entro il 2039. Anche le compagnie petrolifere come BP ora dicono di puntare nella stessa direzione. Altri, tra cui Amazon e Microsoft, prevedono di raggiungere l’obiettivo molto prima.
Alcuni obiettivi e piani aziendali sembrano più credibili di altri, quindi cosa rende gli obiettivi net-zero veramente ambiziosi e quando invece sono soltanto l’ultima versione del greenwashing?
Per le aziende che possono raggiungere il net-zero prima del 2050, ha senso agire molto più rapidamente. L’energia solare ed eolica, ad esempio, è già così conveniente che le aziende elettriche potrebbero mirare a immediati tagli importanti nella produzione a base di combustibile fossile. La tecnologia necessaria per fare davvero un coraggioso taglio netto c’è già, e consentirebbe anche ad altri settori come le costruzioni e i trasporti di utilizzare energia pulita per le loro attività, notoriamente inquinanti.
La sfida più grande per le imprese è come ridurre drasticamente le emissioni. Un primo passo, in genere, è il passaggio all’energia rinnovabile, ma anche questo può essere fatto in modi diversi, alcuni più efficaci di altri. Google, ad esempio, è stata una delle prime aziende acquirenti di energia rinnovabile, ma poi è andata ben oltre, finanziando la costruzione di nuovi progetti eolici e solari per contribuire effettivamente a ridurre le emissioni complessive.
Microsoft prevede di diventare “carbon-negative” (un passo oltre il net-zero, il che significa che rimuove/cattura dall’atmosfera più carbonio di quanto emette) entro il 2030. L’azienda sta lavorando per eliminare virtualmente tutte le emissioni che sono sotto il suo diretto controllo; sta passando al 100% di energia rinnovabile, compresi i generatori di tamponamento nei suoi data center (che attualmente funzionano a diesel), e sta passando a veicoli elettrici per la sua flotta aziendale. Per i prodotti responsabili di altre emissioni che non può controllare direttamente, inclusa l’elettricità utilizzata nelle abitazioni dei propri clienti, Microsoft procederà anche ad azioni di compensazione delle emissioni di carbonio.
Quando le aziende non sono in grado di eliminare alcune emissioni, si avvalgono di azioni di rimozione del carbonio, sostenendo progetti come il rimboschimento o la cattura del metano nelle discariche o ancora ambiziosi tentativi di tecnologizzazione dell’agricoltura al fine di catturare più carbonio nel suolo. Ma fissare generici obiettivi di net-zero senza apportare modifiche sostanziali alle operazioni ordinarie e optando per la sola compensazione dell’impronta di carbonio somiglia di più al greenwashing che ad un serio impegno.
I programmi di piantumazione degli alberi, ad esempio, sono difficili da tracciare, per non parlare dei continui disboscamenti o degli incendi boschivi. Ma sono economici, pertanto potrebbe essere più facile pagare per continuare a inquinare.
Ci sono anche grandi aziende virtuose. L’americana United Airlines ha recentemente annunciato che avrebbe ridotto le proprie emissioni di gas serra del 100% entro il 2050, investendo in progetti di ricerca mirati alla realizzazione di tecnologie di cattura diretta del CO2 dell’aria.
Quando le aziende stabiliscono gli obiettivi in materia di emissioni, non usano sempre la stessa terminologia. Alcuni, come Microsoft, parlano di diventare “carbon negative”. Altri usano termini come “emissioni climatiche positive” o “emissioni nette negative” per indicare la stessa cosa: rimuovere più CO2 dall’atmosfera di quanta l’azienda ne emette. Alcuni dicono di puntare al net-zero, mentre altri usano l’espressione “a emissioni zero” per indicare che le eventuali emissioni dall’attività saranno compensate da progetti che catturano il carbonio, come la piantumazione di alberi. Altri si prefiggono l’obiettivo di diventare “climaticamente neutri”, riferendosi a tutti i gas serra, non solo all’anidride carbonica.
Il mix può creare confusione ma la sfida ancora più grande sono le differenze nel modo in cui le aziende misurano la propria impronta ambientale. Quando dicono di puntare al net-zero, molte parlano solo delle emissioni che provengono direttamente dalle proprie operazioni. Alcune compagnie petrolifere, ad esempio, hanno l’obiettivo di arrivare al net-zero nei pozzi di petrolio e gas, ma non includono le emissioni dei clienti che bruciano effettivamente il carburante. Altre aziende invece stanno fissando obiettivi più ambiziosi, come Apple, che prevede di raggiungere il net-zero lungo l’intera catena di fornitura entro il 2030, includendo quindi le emissioni c.d. Scope 3 (connesse all’attività dell’azienda ma non controllate dall’impresa – es. e emissioni relative alla mobilità dei dipendenti, alla catena di fornitura, all’utilizzo dei beni prodotti, ecc.)
Oramai il cambiamento climatico e i rischi derivanti hanno davvero permeato tutti gli aspetti della civiltà materiale della nostra società. L’argomento è sulla bocca di tutti. E quando si parla, discernere il valore di quanto si afferma è l’unica chiave di lettura in grado di aiutarci a fare i necessari salti di qualità.
7 giugno 2021