Se negli ultimi anni l’attenzione dei grandi e piccoli gestori patrimoniali si è focalizzata nelle analisi dei fattori ESG sulle questioni ambientali, appare evidente come l’epidemia di Covid-19 ha spostato l’attenzione degli investitori sulla S del trittico ESG, ovvero sugli aspetti sociali che riguardano un’ampia varietà di tematiche, tra le quali tutela dei consumatori, sicurezza del prodotto, diritto del lavoro e sicurezza sul luogo di lavoro, diversità, lotta alla corruzione e rispetto per i diritti umani lungo tutta la catena di approvvigionamento, nonché i rapporti con la comunità civile.
Nonostante i fattori sociali abbiano un impatto materiale diretto sulle performance degli investimenti, – poiché l’apporto del capitale umano al successo di un’impresa abbraccia trasversalmente tutti gli ambiti e i settori di attività – dopo l’accordo di Parigi del 2015 sono state le preoccupazioni ambientali e i cambiamenti climatici ad occupare maggiormente le agende dei grandi investitori, assieme alle questioni di corporate governance.
La scarsa attenzione riservata finora dagli investitori agli standard sociali delle imprese si evince anche dal fatto che non siano state ancora adottate modalità di reporting uniformi sulle questioni sociali. Solo poche aziende dispongono infatti di un sistema di rendicontazione per presentare agli investitori i dati relativi alle tematiche sociali. In confronto, il grande interesse per le questioni ambientali ha portato gli emittenti di titoli a sviluppare sistemi e metodi di reporting su aspetti quali le emissioni di carbonio, le riserve di combustibili fossili e l’utilizzo dell’energia pulita.
Ora pare proprio che la “S” stia venendo alla ribalta, emancipandosi dalla categoria di “debole collegamento” fra gli aspetti ambientali e quelli di governance.
La crisi indotta dal Covid-19 fa sì che molte aziende stiano in questo periodo lottando per la sopravvivenza e pertanto, sarà inevitabile voler ridurre all’osso i costi. Ma ci sono già diversi “Altolà!” da parte dei grandi investitori: le società dovranno calibrare con molta attenzione i tagli dei posti di lavoro e assicurare che non siano i dipendenti a sostenere l’onere di questa fase, soprattutto nelle realtà che beneficiano di interventi di sostegno da parte dei governi o dove i dirigenti continuano a godere di alte remunerazioni.
Ciò ha significato che alcune aziende sono state in grado di nascondersi dietro dichiarazioni pubbliche positive su come valorizzano i propri dipendenti, fornitori e comunità. Ma tali dichiarazioni vengono ora messe alla prova poiché le aziende sono costrette a reagire ad una situazione senza precedenti, che metterà in luce il loro ordine di priorità e la loro reale adesione al nuovo modello di responsabilità di impresa e su cui dovranno rendere conto agli investitori e alle comunità, ben oltre le quattro righe di prassi nella relazione annuale di bilancio.
L’epidemia ha inoltre spostato l’attenzione sulle industrie che negli ultimi anni sono sfuggite in larga misura all’attenzione sulle questioni ESG. L’industria petrolifera, il gas, i minatori, i servizi pubblici e le case automobilistiche sono stati sottoposti a un attento esame a causa del loro ruolo nel riscaldamento globale, ma la pandemia del coronavirus sposta i riflettori sul settore dei servizi, sulla finanza, il commercio e altri settori in cui questioni come i diritti, la salute e la sicurezza dei lavoratori nonché il lavoro flessibile sono rilevanti.
A marzo 2020, oltre 280 investitori globali, con un patrimonio gestito di circa 8 mila miliardi di euro, hanno invitato le aziende a proteggere la loro forza lavoro e le loro comunità durante la crisi, attraverso interventi tra cui l’offerta di congedi retribuiti, l’adozione di ulteriori misure di salute e sicurezza e il mantenimento dei rapporti equi con i fornitori. Il successo a lungo termine delle aziende dipende dal successo a lungo termine dei dipendenti e questo invito all’azione non è solo la cosa giusta da fare, ma la cosa intelligente da fare, poiché le società in linea con determinati standard sociali sono in grado di operare con maggiore stabilità.
L’importanza dei criteri sociali per la gestione del rischio è stata dimostrata da uno studio condotto dal professor Alfonso Del Giudice dell’Università Cattolica di Milano su 1000 società di 18 Paesi in un arco temporale di 14 anni (2002-2016). L’analisi ha rivelato che elevati standard sociali possono ridurre il rischio sistematico d’impresa. Nella teoria del portafoglio, il rischio sistematico indica la parte di rischio, alla quale sono esposte tutte le imprese, che non può essere ridotta attraverso la diversificazione. Del Giudice non ha potuto dimostrare lo stesso effetto per i fattori “E” e “G” (https://deutschewealth.com/content/dam/deutschewealth/cio-perspectives/cio-special-assets/s-in-esg/CIO%20Special%20-%20The%20S%20in%20ESG.pdf)
In base ai risultati dello studio, le società con elevati standard sociali sembrano reagire con più vigore a condizioni quali l’inflazione o il rallentamento dell’economia. Questo significa che la “S” potrebbe aiutare gli investitori a costruire un portafoglio in grado di rispondere con minore volatilità alle oscillazioni del mercato.
Chi l’avrebbe mai detto?
19 aprile 2021